Sul palco si è nudi. Ma, ci assicura Mauro Ermanno Giovanardi, quando ci si sente dentro ciò che si propone al pubblico, insieme alla nudità ci sono sicurezza, forza, e il pubblico lo percepisce, perché «quando fingi ti scoprono subito». Il 23 marzo segna la data di uscita del suo primo e tanto voluto lavoro da solista, Cuore a nudo, che abbraccia musica cantautoriale, teatro e poesia (Tenco, Shakespeare e Guerra, solo per fare qualche esempio). «I La Crus si sono presi una pausa», spiega. È alla quinta intervista della giornata: «Ero un po' preoccupato all'inizio perché queste full immersion di interviste io e Cesare (Malfatti, l'altro componente del gruppo, Ndr.) ce le siamo sempre divise, quindi era più facile. Però questo disco l'ho curato così nei minimi particolari fin dall'inizio che è piacevole parlarne». Pensa all'estate: «Mi piacerebbe fare un concerto particolare a Villa Arconti, una versione speciale dello spettacolo con qualche ospite milanese», ci racconta.
Parti da un omonimo spettacolo teatrale…
Questo disco raccoglie dei desideri antichi che avevo da tempo e sono anche le mie passioni più forti di questi ultimi anni: poesia, teatro, musica d'autore. Un po' perché sia coi La Crus e anche prima, la parte poetica e la scrittura sono sempre state fondamentali. E un po' perché il mio approccio è sempre stato teatrale nel modo di pormi. Addirittura qualche anno fa volevo mollare la musica per iscrivermi alla scuola di teatro del Piccolo.
E invece cos'è successo?
È andata che un caro amico mi ha convinto a fare quella che per lui era una "scelta scellerata". Però questa passione c’è sempre stata. Lo spettacolo Cuore a nudo è nato un paio di anni fa con Fabio Barovero (Mau Mau, Banda Ionica, Ndr.). Erano anni che non metteva le mani sul piano e accompagnava così. Lui ha ricominciato a suonare tutti i giorni, io mi sono messo a fare ricerca. La sfida che avevamo in mente era quella di capire se uno spettacolo poteva reggere così scarno, con un pianoforte, una voce e una tromba (affidata a Paolo Milanesi, Ndr.).
La risposta?
In realtà ci siamo accorti che tante delle canzoni che facevamo, togliendo tutti gli orpelli degli arrangiamenti, mostravano ancora di più la loro essenza. Non solo reggevano lo spettacolo ma mi davano una possibilità interpretativa maggiore. Con una musica così scarna sia nelle parti vocali sia nello spazio scenico c'erano dei vuoti da riempire, e così avevo la possibilità di sviluppare delle cose che già mi appartenevano. Fin dal primo concerto abbiamo capito che funzionava e piaceva. Il risultato è che questo lavoro mi rispecchia tantissimo. Rispecchia me stesso e questo periodo durante il quale sto facendo moltissime cose diverse. Mi piace perché è rigoroso ma allo stesso tempo "scorre".
Ci sono aspetti che non eri riuscito a sviluppare coi La Crus?
Nei La Crus c'era tantissima ricerca sonora e a volte era più importante di altri elementi. In alcuni casi mi sembrava assurdo rinunciare a un certo tipo di emozione a scapito della forma. Nel mio Dna c'è sempre stata l'idea del recupero. I La Crus nascono fondamentalmente con l'idea di far vivere due mondi sulla carta molto distanti: il nostro background culturale che viene dal punk e il recupero di ciò che secondo noi l'Italia ha prodotto di meglio, che è la canzone d’autore. Una delle cose che mi ha fatto più piacere del primo periodo dei La Crus era che alla fine di ogni concerto un sacco di ragazzi giovani venivano a ringraziarmi per avergli fatto scoprire Tenco. Anche Ciampi: a detta dell’omonimo premio siamo stati il gruppo più importante per il suo recupero. Per cui da sempre in me oltre al ruolo di autore c'era quello dell'interprete, quella idea romantica di chansonnier che mi è sempre piaciuta molto.
Immagino che i brani scelti li sentirai parte di te...
È una condizione necessaria. Ogni pezzo che vai a cantare non tuo in qualche modo ti deve rappresentare. Tante volte non è importante che tu faccia un pezzo di un altro: però devi sentire che al di là della bellezza delle parole devi condividere il testo, ti deve sembrare credibile. Non devi sentirlo su di te ma dentro di te. Non deve essere solo un bel vestito, ma una cosa che senti nel profondo. Se ci sono questi presupposti si può salire tranquillamente su un palco anche con un pezzo famosissimo senza alcun timore reverenziale. Per me è sempre stato così: non c'è mai stato il pezzo di un altro che ho cantato solo perché mi piaceva la melodia. Quelli che ho scelto li ho scelti perché sentivo il testo come fosse scritto quasi per me.
Dove sono state scattate le foto del book che accompagna il cd?
A Verbania, sul Lago Maggiore, in una ex colonia abbandonata (La colonia Motta, Ndr.) che conosceva la fotografa, che mi ha detto: «Ho sentito i pezzo e secondo me c'è un luogo particolare, molto suggestivo che sarebbe perfetto per il contenuto del disco». Per cui ci siamo andati quest'estate. Ero in vacanza e sono tornato per fare questi scatti. È stato bellissimo, siamo dovuti entrare di nascosto, passando dal bosco, perché il custode non ci avrebbe fatto entrare altrimenti.
Letteratura, poesia, teatro. Interessi per il cinema?
Coi La Crus avevamo fatto parte della giuria musicale del Milano Film Festival e visionando le decine di corti che sono arrivati abbiamo visto la bellezza di un sacco di materiale. Perciò abbiamo proposto all’organizzazione un progetto: abbiamo fatto una cernita di 180 corti, con la possibilità di togliere l’audio ed editare a nostro piacimento. Il materiale scelto è poi passato nelle mani di un regista teatrale che ha montato tutto. In seguito è uscito un disco dove ogni pezzo era accompagnato da un corto d’autore. Anni fa ero indubbiamente più affascinato dal cinema. Ultimamente se devo uscire per andare a vedere qualcosa vado a teatro, perché di cinema ne ho abusato tantissimo. Ho visto moltissime rassegne di film: fantascienza, francesi, b-movie. La mia conoscenza cinematografica arriva fino agli Anni Novanta. Poi sai, sono cominciati i concerti coi La Crus, uno spostarsi continuo...
La tua base resta a Milano?
Sì. Sono nato a Monza e cresciuto a Monza e Milano, anche se il mio babbo era di Reggio Emilia. Però mi sento milanese Doc dal punto di vista diciamo culturale. E non mi piace questo luogo comune che la vuole città buona solo per lavorare: mi sembra una cazzata. Milano è molto più interessante e più artisticamente viva di quello che sembri.
Parlando di cantautori, ci sono artisti contemporanei che ti piacciono?
Assolutamente. Vinicio Capossela è una delle penne più felici che abbiamo. Anche se l'ultimo disco mi è piaciuto meno di altri, lui mi piace tantissimo.
Il teatro dov'è stato registrato l'album sembra essere davvero bello
Il Teatro Dimora è un luogo fantastico, in mezzo al un bosco. Si tratta di una residenza creativa, non fanno programmazioni tutte le sere. È stato concepito e costruito soprattutto per i gruppi teatrali. Quando metti in piedi una produzione non è tanto il costo o il fatto che ti diano un teatro ma tenere una compagnia per settimane in albergo, farli mangiare al ristorante. Lì vicino al teatro c'è una foresteria molto bella che può accogliere diverse persone. Siamo stato lì 10 giorni e l'abbiamo usato come studio, facendo e rifacendo versioni. L'ultimo giorno abbiamo fatto il concerto e lo abbiamo registrato. Fin dall'inzio mi piaceva l'idea di viaggio emozionale e spettacolo immaginario: per rendere ancora di più l'idea nell'album abbiamo inserito un paio di pezzi dal vivo e gli applausi.
Quanto sei soddisfatto?
Devo essere sincero? Era da tanto tempo che non riuscivo a metterci così tanto cuore. Forse non potevo neanche.
E i La Crus?
Per adesso si sono presi una pausa. Cesare in questi anni ha avuto la possibilità di soddisfare le sue curiosità con altri progetti, che invece a me la Wea non ha mai fatto fare. Io non ho mai avuto delle liberatorie per fare altre cose. Un lavoro così me lo avevano già proposto in passato e nell'inverno 2003 mi avevano dato il via per fare un disco mio. Ho iniziato a lavorare, investendo soldi e tempo, ma poi si sono rimangiati la parola senza neanche aver sentito un pezzo.
Perché?
Perché probabilmente il cantante rispecchia di più l'immagine del gruppo. L'ultimo disco poi è stato un po' travagliato, con delle idee che non combaciavano. Il problema di un progetto come i La Crus, rispetto a un disco solista o una band, è che in due è più faticoso e ti usura molto prima: devo decidere o io o te, come in una coppia. Prima di un divorzio quindi è meglio prendersi un po' di fiato. Dal '95 abbiamo sempre alternato un anno in studio e uno in tour. Rispetto a Cesare ho sempre messo davanti i La Crus, sbagliando forse nel credere che fosse meglio pensare solo a una cosa, indirizzando le mie energie tutte lì, rifiutando anche una serie di progetti e proposte interessanti. Da una parte questo mi è sicuramente servito, ma dall'altra mi sembra di aver perso una possibilità di crescere. In questi due anni è come se stessi recuperando cose che avevo dentro e non riuscire a espletare. Altre volte mi sono sentito soddisfatto ma non così: in questo lavoro mi ci rivedo davvero.
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